Attualità

Prima Giornata nazionale contro bullismo e cyberbullismo: l’importanza della prevenzione

Dora Dibenedetto
Intervista alla dott.ssa Liliana Bellavia, psicologa e psicoterapeuta famigliare, da anni impegnata nella prevenzione del disagio derivante dall'uso smodato di internet
scrivi un commento 924

Bullismo e cyberbullismo: due facce della stessa medaglia, ossia quella della vigliaccheria mista alla prevaricazione su coloro che sono considerati dal bullo e, come spesso accade, dal suo “branco”, i più deboli. Recentissima è l’approvazione da parte del Senato del disegno di legge per la prevenzione e il contrasto al bullismo cibernetico o in rete. A tale proposito, la senatrice Elena Ferrara (Pd), prima firmataria del ddl, ha evidenziato che “il cyberbullismo è più pericoloso del bullismo tradizionale per una serie di ragioni. Non sempre la vittima sa chi è il vero responsabile delle condotte vessatorie, spesso celato da falsi profili che incoraggiano chi non vuole mostrarsi. La viralità del bullismo in Rete non ha limiti di tempo e di spazio: mentre nei casi tradizionali spesso è sufficiente cambiare scuola, la persecuzione online può raggiungere ovunque e a tutte le ore. E mentre le botte si vedono, spesso è difficile accorgersi del disagio che vive chi è vessato su Internet”.

Un fenomeno trasversale che attanaglia da sempre e soprattutto gli ambienti scolastici, quanto al Nord che al Sud Italia (anche nelle nostra provincia e nella nostra Regione) e che risulta essere in netto aumento negli ultimi anni, considerando anche l’uso sfrenato, soprattutto da parte degli adolescenti, di Internet e dei famigerati/famosi social network (come Facebook, Instangram, Whatsapp). Pertanto, in virtù dell'istituzione della prima Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, che ricorre proprio oggi, 7 febbraio 2017, abbiamo ritenuto opportuno approfondire il tema con la psicologa e psicoterapeuta famigliare, da diversi anni impegnata sul fronte della prevenzione del disagio psicopatologico derivante dall’uso indiscriminato di internet, relatrice in diversi convegni e tavole rotonde incentrate sul fenomeno in questione, nonché insegnante da circa trenta anni di scuola elementare (attualmente insegna presso il quarto circolo didattico della scuola primaria “Giovanni Beltrani” di Trani) Liliana Bellavia, affinché possa fornirci maggiori delucidazioni in merito, delineando al contempo quelli che sono gli aspetti psicologi entro i quali carpire e cercare allo stesso di arginare il bullismo e il cyberbullismo, i cui casi risultano essere sempre più diffusi, sin dalla tenera età, tra i nostri bambini ma soprattutto tra i nostri ragazzi.

D: Ormai è ufficiale, il 7 febbraio è la prima Giornata nazionale per dire No al bullismo. Lei, in qualità di insegnante di scuola primaria, di psicoterapeuta familiare ed esperto in psicologia giuridica, nonché attenta osservatrice del fenomeno “bullismo”, crede che i bambini e i ragazzi, in modo particolare quelli del nostro territorio, siano abbastanza informarti in merito a quelli che sono i primi segnali dai quali può scatenarsi una vera e propria “sindrome” da bullismo?

In concomitanza con il “Safer Internet Day 2017” il MIUR lancia la campagna “Un nodo blu” e proclama il 7 febbraio prima Giornata Nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo allo scopo di promuovere quelle azioni combinate tra le varie istituzioni educative utili per prevenire e contrastare tali preoccupanti fenomeni sociali.

Indubbiamente negli ultimi anni il fenomeno è aumentato anche sul nostro territorio, se è vero come dimostrano le indagini Istat (vedi i dati riportati anche da Telefono Azzurro) che ogni giorno in metà delle scuole italiane avviene un episodio di bullismo. Rispetto al passato oggi è aumentata l'attenzione al fenomeno e alle sue ricadute sociali e psicologiche, tanto che numerose Istituzioni scolastiche si sono attivate a riguardo con corsi di formazione per docenti e genitori e progetti laboratoriali per gli studenti e le studentesse anche in collaborazione con gli esperti della Polizia di Stato. Personalmente penso che se si chiedesse ai bambini/e e ai ragazzi/e di esprimersi a riguardo, con ogni probabilità apparirebbero competenti nel definire i comportamenti a rischio di bullismo, dimostrando di saperli distinguere dalle azioni occasionali di prevaricazione, ciò perché tra i nostri studenti l'informazione sui temi in questione è abbastanza diffusa come , peraltro, è diffusa l'esperienza diretta ed indiretta del bullismo e della sua versione online. La maggior parte di loro dichiara di aver assistito o subito atti di bullismo da parte di coetanei. Tuttavia a mio parere la semplice conoscenza o comprensione del fenomeno non è garanzia di lotta allo stesso. Pertanto risulta fondamentale considerare il fenomeno nella sua complessità superando le ipocrisie socio-culturali ed ideologiche che continuano ad alimentarlo.

D: Quanto può incidere nella “formazione” di un bullo il suo contesto familiare e la sua estrazione sociale? Più nello specifico, a quale profilo socio familiare nonché psicologico appartiene il classico bullo “nostrano”?

Il fenomeno del bullismo è sempre più trasversale, non ha chiari radici sociali o culturali, è espressione di un malessere inter ed intra personale e si alimenta in un determinato contesto sociale. Se e vero che è nella scuola e nei circuiti di aggregazione sociale che si manifestano i comportamenti aggressivi tra pari, è altrettanto vero che nel proprio contesto famigliare bambini e ragazzi apprendono precocemente il valore delle regole e il rispetto per l'altro; ciò non sulla base di '”lezioni' teoriche” ma sui modelli comportamentali appresi, basati sull'osservazione comportamentale diretta e sulle esperienze relazionali messe in atto all 'interno della famiglia dalle persone “significative”. Pertanto è urgente e fondamentale che i genitori ritornino ad essere autorevoli, credibili, presenti, attenti ai vissuti dei propri figli. Chi è il bullo? Un approccio sistemico al problema potrebbe aiutarci a comprendere le dinamiche messe in gioco negli episodi ripetuti di prevaricazione e di aggressività tra i ragazzi. La personalità del bullo ( soggetto piuttosto popolare tra i pari, bisognoso di attenzione, a suo modo insicuro, aggressivo, oppositivo, refrattario alle regole, affatto empatico ed incapace di autocontrollo) è, infatti, strettamente connessa all'isolamento e alla marginalità della sua vittima ( solitamente insicuro, chiuso, ansioso, tendente all'autocolpevolizzazione, con bassa autostima), ed inchioda sul piano delle responsabilità dirette anche il cosiddetto pubblico, il gruppo dei pari, il coro che in qualche modo incita il bullo a perpetuare i soprusi e le aggressioni sulla sua vittima.

Si tratta di un meccanismo perverso di natura circolare difficile da interrompere se non si agisce su più fronti in maniera sinergica ed efficace. In quest'ottica sia il prevaricatore che il prevaricato sono da considerarsi vittime e necessitano di aiuto specifico in quanto, alla lunga, queste esperienze segnano profondamente le personalità dei soggetti coinvolti che finiscono col manifestare sintomi progressivamente più importanti di disagio (chiusura in se stessi, ansia-depressiva, mal di testa, mal di pancia, scatti d’ira, aggressività) tutti comportamenti che sono correlati anche al calo del profitto scolastico.

D: Invece chi sono le vittime? A quale fascia d'età appartengono? Sono colpiti più i ragazzi o le ragazze o i bambini/e?

I dati forniti dall'Osservatorio Nazionale Adolescenti del Telefono Azzurro dimostrano che le vittime sono prevalentemente ragazze e ragazzi tra gli 11 e i 14 anni; nel 2014 oltre la metà dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni dichiarava di aver subito offese ripetute da parte dei coetanei. Ne deriva la necessità di coinvolgere direttamente le famiglie guidandole alla consapevolezza del loro importante ruolo nella lotta al fenomeno. Fenomeno che oltrepassa la piazza e i contesti reali per sfociare più pericolosamente sui circuiti virtuali dei social network dove, dietro l'anonimato, o l'amplificazione mediatica si consumano crimini violenti.

D: Lei si occupa altresì della formazione degli insegnanti di ogni ordine e grado e, vista la gravità sempre più crescente del fenomeno in questione, crede che la formazione degli insegnanti debba essere sempre più orientata a contrastare il bullismo e il cyberbullismo, o si sta già facendo abbastanza?

La formazione dei docenti e di tutto il personale della scuola è importante, ma ancor di più lo sono i servizi di supporto. In Italia c'è un solo Centro Antibullismo pubblico al Fatebenefratelli di Milano, e ancora sporadici e discontinui sono gli sportelli di ascolto psicologico nelle scuole. Un servizio per il sostegno psicologico deve essere, a mio parere, incardinato nell'istituzione scolastica, essere aperto ai ragazzi, ai loro genitori e al personale della scuola. Deve poter rappresentare il contesto nel quale con costanza e continuità si lavori cooperando alla risoluzione dei piccoli e grandi problemi della comunità scolastica. Solo così la scuola può sviluppare efficaci programmi di prevenzione dei disagi, concentrando gli sforzi su metodologie attive che possano indurre nei nostri ragazzi la conoscenza e il rispetto reciproco, l'empatia, l'ascolto e l'attenzione all'altro come persona unica, originale. Per guardare all'unicità e alla differenza come a valori aggiunti e non occasione di conflitto o scherno.

D: E per i genitori, quanto può essere importante una formazione ad hoc mirata in tal senso?

Certamente la famiglia non va lasciata sola e anche la scuola in quanto agenzia educativa è chiamata direttamente a fare la sua parte. Ben vengano le iniziative, gli incontri ed i dibattiti che rendono espliciti i meccanismi sottesi al fenomeno, ma ancora più urgente è il tornare all'autentico confronto scuola-famiglia, dove gli adulti di riferimento , nello specifico nei loro ruoli, si alleano per il bene dei ragazzi. Adulti a loro volta coerenti, che la smettano di attribuirsi reciprocamente la responsabilità dei fallimenti con i ragazzi, che possano nel rispetto solidale cercare risposte efficaci per i figli/ studenti. Bisognerebbe invertire velocemente la rotta del messaggio sociale: passare dalla cultura della competizione a tutti i costi, alla cooperazione, riscoprire l'indignazione per quei modelli che sotto gli occhi di tutti inducono i nostri ragazzi alla spavalderia, alle scorciatoie furbette utili ad arginare le difficoltà, bisogna piuttosto continuare a sviluppare una cultura della legalità condivisa.

Cosa pensa piuttosto e quanto condivide quel che di recente ha sostenuto la senatrice del Pd, Elena Ferrara, in merito alla maggiore pericolosità del cyberbullismo rispetto al bullismo?

Condivido le preoccupazioni della senatrice Ferrara; la cronaca ci restituisce episodi dolorosissimi che vedono le vittime di cyberbullismo arrivare a togliersi la vita poiché incapaci di affrontare una situazione percepita come gigantesca per le dimensioni che assume e per le modalità vigliacche e gratuite con cui si manifesta la gogna mediatica. L’attacco mediatico per la facilità e velocità con cui si diffonde, priva l’autore di una elaborazione razionale dell’azione aggressiva che sta "postando". Poiché, sono gli adolescenti e i bambini le fasce più deboli, perché usano costantemente i "social", ne deriva che si fa sempre più urgente l'unione tra famiglie e agenzie sociali del territorio, affinché pongano in essere programmi di prevenzione. Interessante è a tal proposito la campagna "Posta con la testa" realizzata da Save The Children: con essa si invitano i ragazzi a riflettere bene prima di pubblicare immagini o video nella Rete per la natura pubblica dei contenuti.

 

 

 

 

 

 

martedì 7 Febbraio 2017

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti