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Caro gasolio, i pescatori: «Così non conviene andare in mare»

Giuseppe Di Bisceglie
Giuseppe Di Bisceglie
Pescatori
La voce della protesta
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Il mondo della pesca è nuovamente in fibrillazione Il caro carburante rischia di cancellare completamente l’attività di migliaia di lavoratori e imprenditori del settore della pesca, orientati a non scendere più in mare mettendo a rischio l’approvvigionamento di pesce fresco. Sulle nostre tavole potrebbe arrivare soltanto pesce congelato e di importazione. «Andare in mare non conviene» taglia corto Francesco Minervini, vicepresidente nazionale di Federpesca e direttore di Assopesca di Molfetta. Proprio a Molfetta, città in cui opera una delle marinerie più importanti di Puglia e dell’intero Adriatico, i pescatori hanno dichiarato lo stato di agitazione per protestare non soltanto contro il caro gasolio ma soprattutto contro la mancata attuazione di tutte quelle misure che erano state concordate a marzo, in occasione di una nuova protesta.

«È vero che Governo e Regione hanno attivato interventi come il credito di imposta e contributi a fondo perduto, fermo su base volontaria, ma quelle misure non si sono ancora concretizzate» afferma Minervini. Le marinerie di tutto l’Adriatico sono in fibrillazione, da Manfredonia a Gallipoli la situazione non è diversa: «c’è il rischio che chi va in mare non riesca a recuperare nemmeno le spese e questo mette anche in discussione la nostra capacità di pagare il personale impiegato» continua. Nella sola Molfetta sono una cinquantina le imbarcazioni, con oltre 600 lavoratori. «I rischi sociali e di occupazione sono elevatissimi» fa notare il dirigente di Federpesca. Le richieste sono le stesse di qualche mese fa; gli di strumenti di sostegno al reddito come la cassa integrazione, però, sono ancora fermi: «Manca il regolamento» obietta Francesco Minervini. «I pescatori – spiega – chiedono impegni precisi e non più prorogabili tesi a dare soluzioni alle gravi problematiche che stanno fortemente indebolendo il settore, condannandolo ad una definitiva e irrecuperabile desertificazione».

Anche il sindaco di Molfetta, Tommaso Minervini, si è schierato con i pescatori in protesta chiedendo «un fermo biologico straordinario per arginare il problema del caro gasolio e permettere alle marinerie di sopravvivere». E continua: «Per scongiurare un nuovo blocco, la crisi dell’intero comprato e la conseguente assenza sui mercati di prodotto ittico nazionale fresco è fondamentale che il ministero delle Politiche agricole agisca il prima possibile con misure impattanti». Anche Enrica Mammuccari, presidente nazionale Uila Pesca, lancia il suo grido d’allarme:«Stiamo attraversando un momento di grande  preoccupazione che si aggiunge alle difficoltà denunciate da tanti anni: il collasso di una parte importante della pesca italiana che, a causa dell’incremento dei costi del carburante, non riesce con i soli ricavi a coprire i costi» afferma.
«La riduzione dello sforzo di pesca – continua –  sancita ancora di più dagli ultimi regolamenti comunitari ha comportato che il periodo di attività lavorativa per la pesca professionale in Adriatico si attesti sulle 140 giornate l’anno, con una difficoltà a difendere la redditività di lavoratori e imprese. Incremento del costo da 0,80 a 1,15-1,30 non consente di poter uscire nemmeno in mare con il rischio di ricadute occupazionali pesantissime. In questi giorni però abbiamo avuto notizie  che la legittima protesta sta sfociando  in alcune marinerie in atti di intimidazione, impedendo la stessa attività lavorativa a chi ha deciso di non fermarsi: questo non è accettabile».

«È urgente – continua Mammuccari – che le richieste che Sindacato e il Sistema di imprese stanno ponendo al Governo, si traducano immediatamente in norme di sostegno al settore. Dal riconoscimento del credito d’imposta , all’erogazione delle misure economiche previste da marzo per calmierare il costo del gasolio (20 milioni per le imprese di pesca), dalla piena attuazione della Cisoa (ammortizzatore sociale)  allo sblocco celere delle indennità di fermo 2021 fino al riconoscimento del cosiddetto “fermo bellico” previsto dalla Commissione europee anche alla pesca del Mediterraneo.
E conclude: «La pesca italiana ha dimostrato di rispondere agli obiettivi di sicurezza alimentare , non fermandosi durante la pandemia; ma questo valore deve essere riconosciuto dimostrando la celerità delle risposte delle Istituzioni. Anche dal punto di vista delle tutele per i lavoratori esiste una disparità di trattamento: non è riconosciuto come lavoro usurante e per l’ammortizzatore strutturato della Cisoa al momento non vi sono le norme attuative che lo rendano effettivamente fruibile».

giovedì 26 Maggio 2022

(modifica il 12 Luglio 2022, 13:02)

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