Il tempo passa più velocemente quando ci si diverte, recita un motto popolare. Al contrario, viene quindi da dire, passa più lentamente quando ci si annoia, non si ha nulla da fare. Per il detenuto Alberto, o Albért come familiarmente lo chiamano nella sua città natale, il tempo sembra appunto non passare mai. Ed è nella quotidianeità dell’attesa e nella relatività di questo tempo così immobile che Albért incontra Albert, punto di riferimento che permette all’attore in scena un vivace monologo con lo scienziato/pubblico. Con un linguaggio quotidiano, semplice, non scevro di regionalismi, Alberto ci parla della sua vita presente e passata, di una criminalità che fin dall’adolescenza si è sentito imposta, da cui poi non è riuscito a scappare, ritrovandosi in una cella che comincia a stargli stretta, mentre aspetta di poter riabbracciare la moglie e il figlio. Ma la cella è anche uno stigma, un segno che si porterà addosso tutta la vita, nonostante la presunta operazione di “correzione” che le carceri dovrebbero effettuare. Scandito da una regia presente, ma mai invasiva, tra una battuta sagace, una tazzina di caffè ed un momento di riflessione sulla fisica, è questo soprattutto che ci vuole ricordare: la libertà è una fortuna, una conquista e chi ci guarda dall’altro lato di quelle sbarre di ferro è pur sempre un essere umano come gli altri, con le sue paure, le sue ansie, ma anche le sue speranze.
La recensione
Albért e Einstein in uno spettacolo dal carcere
L'attore Dino Parrotta porta al Teatro Fantàsia un monologo brillante con un ospite d'eccezione
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